“la scomoda seduta”
“… come non si pensa alla malattia della conchiglia ammirandone la perla, così di fronte alla forza vitale dell’opera d’arte non pensiamo alla follia che forse era la condizione primaria della sua nascita.”
karl jasper
la soggettività dell’artista rosanna di marino è frammentata e scissa nella sua follia di fondo che la abita.
abbandonando le figure classiche più giovanili, l’artista si è “arrischiata” in un mondo dove l’arte riesce meglio a comunicare l’inscindibilità del reale, anche se lei questo reale lo spezzetta, lo violenta, e poi ricomporlo nei suoi elementi costitutivi.
un percorso che va dal figurativo, al grafico, all’astratto, alla modifica materica, fino ad arrivare a “subire” l’arrivo di sculture-non sculture: ”le sedute scomode”.
scomoda lei stessa “a se stessa”, si porta alla resa della sua positività, al tempo escatologico che l’appartiene: l’artista elabora la sedia, la trasforma, la concettualizza.
la sedia diventa un oggetto scomodo, pericoloso, insidioso, qualcosa che può far male.
mille pensieri, sbarramenti mediati dal filo pungente, ostacolano la funzione a cui la sedia è preposta.
l’artista non ingloba la parte oscura di sé, ma separa, mette da parte: in questa operazione opera una frattura la quale nel tempo diverrà dolorosa come la perla per la conchiglia.
solo il pathos artistico che pervade rosanna di marino le darà la possibilità di redimersi, di operare in lei un bagno salvifico.
l’artista suo malgrado espone e suscita emozioni forti di bellica memoria.
ma lei esorcizza, traduce su altri percorsi lievi, più personali e più rispondenti alle sue aspettative più ottimistiche della vita.
le immagini ingrandite delle spine metalliche esaltano maggiormente, quasi un rimando al dolore cristiano di crocifissione, il lato penante dell’artista.
immagini e sedie inavvicinabili ,da guardare con cautela, tantomeno toccarle: come l’artista.
cocò